Ecuador: i popoli indigeni hanno il diritto di dire NO ai progetti estrattivi

Foresta protetta di Los Cedros Protesta ad Orellana, in difesa del territorio indigeno A'i Cofan (© Andreas Kay/CC BY-NC-SA 2.0) Il territorio degli A'i Cofan afflitto dalle miniere e da altre attività estrattive La posta in gioco è alta: una vista del territorio A'i Cofan minacciato dalle miniere (© mapeo sinangoe/Jeronimo Zuniga)

22 feb 2022

A seguito di una recente sentenza della Corte Costituzionale dell'Ecuador, lo Stato ha recepito l'obbligo di consultazione sulle attività estrattive, all'interno, ai limiti e ovunque queste interessino la comunità e nazionalità indigene. Questa sentenza costituisce uno strumento giuridico che garantisce il loro diritto all'autodeterminazione e al consenso previo, libero e informato.

In presenza delle autorità della comunità A'i Cofán de Sinangoe, gli avvocati di Amazon Frontlines e i rappresentanti delle più importanti organizzazioni indigene spiegano una per una le numerose implicazioni della recente importante sentenza (Caso Sinangoe No. 273-19-JP22 el 27 de enero 2022).

A Sinangoe, il presidente Victor Quenamá, insieme ad altre autorità, ha sottolineato l'importanza del territorio come parte della vita degli A'i Cofán e di tutti i popoli indigeni dell'Ecuador. Ci ricordano anche l'urgenza di conservare le foreste per contrastare il cambiamento climatico.

 

Autodeterminazione: il nostro territorio, la nostra decisione

Nelle parole dell'avvocato di Amazon Frontlines, Jorge Acero, l'autodeterminazione è un principio essenziale nella relazione tra lo Stato ecuadoriano e i popoli e le nazionalità indigene, secondo il quale devono relazionarsi sullo steso piano. Riconosce la loro capacità di decidere del loro futuro, della loro vita, del loro modo di rapportarsi al loro territorio. E la loro decisione deve essere rispettata.

 

Un processo che riconosce la dignità delle comunità indigene

L'avvocato María Espinoza, anche lei di Amazon Frontlines, afferma che il processo di difesa del territorio e del diritto alla consultazione previa è stato lungo. La decisione di realizzarlo è stata presa dalla comunità. La Corte costituzionale ha parlato con decine di persone della comunità durante il processo. Un tale esercizio non dovrebbe essere un'eccezione, ma la norma. Dà dignità e riconosce la comunità e il suo impegno indefesso e pacifico per il diritto all’autodeterminazione.

 

Vincolante e obbligatoria per lo Stato

Non solo il popolo indigeno A'i Cofán de Sinangoe, ma tutti i popoli e le nazionalità indigene dell'Ecuador beneficiano della sentenza e possono riferirsi ad essa se i loro territori fossero concessi senza consultazione o attraverso consultazioni che non hanno rispettato le procedure. La sentenza può anche essere invocata ogni volta che lo stato intende rilasciare nuove concessioni per attività estrattive in qualsiasi territorio indigeno. Gli standard determinati dalla sentenza devono essere rispettati.

I cosiddetti processi di "socializzazione" che si realizzano di solito consistono solo nel fornire informazioni ma non sono equivalenti a un processo legittimo di Consultazione Libera, Previa e Informata. Richiede il rispetto di norme e procedure che, se non rispettate, potrebbero rendere nulla qualsiasi decisione.

 

Obbligo di realizzare una consultazione libera, previa e informata

Il consenso dei popoli e delle nazionalità indigene è quindi essenziale prima di continuare ad espandere le frontiere minerarie e petrolifere che mettono chiaramente a rischio le loro vite e i loro territori. Ciò che fa la Corte Costituzionale nella sua sentenza sul caso A'i Cofán de Sinangoe è sviluppare ciò che dice la costituzione che stabilisce che il consenso, che è un diritto stabilito dalla costituzione, è la regola generale.

Nessun progetto estrattivo, minerario o petrolifero che possa influire sulla vita, il territorio o lo sviluppo può andare avanti oggi in Ecuador senza il consenso della comunità, del popolo o della nazionalità. "I popoli e le nazionalità hanno la capacità di decidere sui loro territori ancestrali, le loro vite e i loro modi di svilupparsi come popolo", dice l'avvocato Jorge Acero.

 

Territorio ancestrale, con o senza titoli di proprietà

Il territorio indigeno non ha bisogno di un titolo ufficiale. Tutta l'area è territorio in possesso del popolo indigeno, compreso quello che è in uso e con il quale il popolo A'i Cofán ha una relazione intima e necessaria per la sua sopravvivenza e sviluppo.

Per questo motivo, la Corte Costituzionale fa un richiamo al Ministero dell'Ambiente, che ha negato la proprietà della comunità Sinangoe del suo territorio durante tutto il processo, sostenendo che, essendo nel Parco Nazionale Cayambe-Coca, il territorio appartiene allo Stato. "Questo è falso", insiste Espinosa. "Il territorio appartiene agli A'i Cofán di Sinangoe. E questo è ciò che determina la sentenza.”

L'analisi del territorio da parte della Corte è ancora più esaustiva, perché "anche se le concessioni minerarie erano al di fuori del territorio in uso o in possesso della comunità A'i Cofán, esse incideranno comunque su corpi d'acqua indispensabili per la vita e la sopravvivenza degli A'i Cofán e meritano una protezione e un rispetto speciali".

Pertanto, "ogni volta che un'attività estrattiva ha luogo in territori d'uso o di possesso, o colpirà i diritti della natura o le fonti d'acqua indispensabili alla sopravvivenza, il consenso diventa la norma obbligatoria".

 

Diritti di uso e gestione del territorio

La guardia indigena della comunità A'i Cofán di Sinangoe che pattuglia la foresta non è una milizia, come il Ministero delle Risorse ha cercato di far credere. La Guardia Indigena è un meccanismo legittimo di governo e di controllo e protezione del territorio. E il diritto proprio della comunità è valido perché si svolge nel quadro della sua autodeterminazione e della protezione del territorio necessaria alla sua sopravvivenza.

Alexandra Narváez, presidente dell'Associazione delle Donne della Comunità A'i Cofán, sottolinea che l'unità della comunità dà forza per continuare. E come donna, custode del territorio, intende "continuare a difendere il territorio per i nostri figli". "I nonni hanno lasciato in eredità un territorio libero da contaminazioni", ed è quello che lei vuole lasciare in eredità ai suoi figli.

 

Una porta aperta all'estrattivismo?

Gravi ripercussioni sul territorio, sulla vita delle persone o della nazionalità indigene o sulla loro sopravvivenza fanno sì che il progetto estrattivo non possa più essere sviluppato. La dottoressa María Espinoza ritiene che la Corte Costituzionale avrebbe potuto essere molto più enfatica e riconoscere che il consenso deve essere applicato in tutte le situazioni. Tuttavia, prevede un'eccezione per continuare con i progetti estrattivi nonostante la mancanza di consenso: quando lo Stato dimostra un interesse legittimo ed eccezionale nell'esecuzione di una risorsa, deve giustificarlo considerando che non ci sono sacrifici irreparabili contro la comunità, contro la natura. Questo può apparire come una concessione per chi opera in mala fede, dice il dottor Acero.

Tuttavia, i sacrifici, i rischi irreparabili di un progetto minerario o petrolifero, devono essere determinati in un dialogo in cui la comunità ha un ruolo centrale e principale. Perché la vita delle comunità e dei loro territori non può essere sacrificata o condannata, nemmeno - come sostengono i rappresentanti dello Stato - per ottenere fondi che permettono allo Stato di garantire i diritti di terzi (come la salute, l'educazione, ecc.). Il governo dovrebbe giustificare nei minimi dettagli il perché.

Il governo sostiene la necessità per lo sviluppo del petrolio e delle miniere, come un fine democraticamente legittimo, ma la Corte gli sta dicendo di no. Non può rivendicare tale fine se ci sono gravi impatti sulla vita di un popolo o di una nazionalità indigena. Queste vite non valgono meno e non possono essere eliminate nell'interesse generale teorico. La Corte sta dicendo che la vita delle persone ha un valore. E nessun progetto può essere sviluppato d'ora in poi senza che un popolo o una nazionalità indigena esprimano la loro decisione, senza il consenso di quel popolo o di quella comunità.

 

Mettere un freno agli interessi estrattivi delle aziende e del governo

Il presidente Guillermo Lasso ha mostrato il suo grande interesse a promuovere l'estrazione del petrolio e delle miniere attraverso i decreti 91 e 151, che le organizzazioni sociali considerano incostituzionali e sui quali si attende anche un pronunciamento della stessa Corte.

La battaglia in difesa del territorio, della vita e del futuro di Sinangoe continua.

Molte altre persone possono ricorrere allo stesso meccanismo di difesa e ora hanno a disposizione questo strumento concreto. Il governo ecuadoriano non può ignorare questa sentenza.

 

Le piccole comunità possono ottenere importanti vittorie

"Ora sarà possibile fare il bagno nel fiume, camminare liberamente, senza minacce", dice Nixon Andy, coordinatore della Guardia Indigena della comunità Sinangoe, che protegge la foresta tropicale. La comunità che ha ottenuto questa enorme vittoria è in realtà molto piccola. Ma è molto forte e resiste all'estrattivismo da molti anni. "Abbiamo dato un esempio al mondo, all'Ecuador. E conclude: "La comunità di Sinangoe è disposta ad accompagnare altre comunità che lo richiedono".

 

Organizzazioni indigene si esprimono sulla sentenza della Corte Costituzionale

Silvana Nihua, presidente dell'organizzazione Huaorani di Pastaza, sottolinea che "la vittoria è importante per le organizzazioni indigene, per i fratelli e le sorelle di Sinangoe e per tutto l'Ecuador". La sentenza rappresenta un progresso e "la decisione presa dalla Corte è ciò che noi popoli indigeni sentiamo veramente". Si riferisce al consenso dei popoli e delle nazionalità indigene: "Sentiamo che le imprese estrattive vogliono fermarci e ci condizionano. Però, questa sentenza ci garantisce il diritto al nostro territorio". È una menzogna dire che non inquinano, quando colpiscono tutti i popoli che vivono accanto alle concessioni. Il percorso deciso dai popoli indigeni deve essere rispettato dallo Stato ecuadoriano. "Non siamo soli. Tutti i popoli sono uniti nella resistenza e il mondo ci vede e ci sostiene. Anche per questo la nostra lotta è importante. L'ossigeno viene dall'Amazzonia e dai territori indigeni e noi continueremo a conservarlo, a batterci e a resistere come ce l'hanno lasciato i nostri antenati. L'organizzazione è anche in attesa di una sentenza riguardo a un suo caso.

Gladys Vargas è la direttrice di Alianza Ceibo, un'organizzazione indigena che riunisce le quattro nazionalità dell'Amazzonia e le difende. L'Alleanza partecipa alla grande gioia per questa vittoria. La comunità di Sinangoe è piccola ma ha dimostrato grande determinazione e intelligenza nella sua battaglia. È un esempio per altre comunità. La battaglia per continuare a far rispettare i diritti continua. Le imprese estrattive devono ascoltare le comunità e nazionalità indigene e lo Stato ecuadoriano deve rispettare le loro decisioni.

Marlon Vargas, presidente della Confederazione delle nazionalità indigene dell'Amazzonia ecuadoriana, CONFENIAE, chiede che le autorità statali facciano il loro dovere. È necessario che la sentenza sia rispettata, perché in altri casi giudiziari, come il territorio di Sápara, il caso Sarayaku e altri, ci sono sentenze a favore dei popoli indigeni ma non vengono rispettate. Al contrario, continuano i tentativi di entrare nei territori senza consultazione. I territori indigeni sono la speranza del pianeta, dell'umanità e di tutti gli esseri viventi. La sentenza è un fatto storico, ma deve essere resa vincolante.

Se la distruzione non viene fermata, si contraddicono le dichiarazioni che il presidente ecuadoriano Guillermo Lasso ha fatto al COP26 a Glasgow, dove ha affermato che i territori indigeni sono costituzionalmente protetti mentre emetteva i suoi decreti a favore del settore minerario e petrolifero (Decreti 95 e 151). CONFENIAE chiede l'abrogazione di questi decreti che violano i diritti collettivi e i diritti della natura.

Leonidas Iza, presidente della Confederazione delle Nazionalità Indigene dell'Ecuador CONAIE, sottolinea l'urgenza di prendersi cura di Madre Natura: "Siamo i migliori guardiani della foresta, dei páramos, della vita, in America Latina e a livello globale". E per questo, i popoli indigeni dell'Ecuador devono avere tutta la forza di cui hanno bisogno. Diverse azioni che hanno intrapreso hanno stabilito una giurisprudenza. Come nel caso del diritto alla consultazione previa, libera ed informata come mandato costituzionale, che è anche incluso negli strumenti della giurisprudenza internazionale. La battaglia per raggiungere questo obiettivo si è svolta nelle strade e c'è ancora molta strada da fare. Spesso lo Stato negozia i diritti e i servizi di base come la salute e l'istruzione chiedendo in cambio il consenso dei popoli indigeni. Se la sentenza non sarà rispettata d'ora in poi, le organizzazioni indigene continueranno a lavorare a tutti i livelli, unite, conclude Iza.

Per Gregorio Mirabal, presidente della Coordinadora de las Organizaciones Indígenas de la Cuenca Amazónica COICA, sebbene sia un momento di festa, le minacce future da affrontare sono molte. La Corte Costituzionale sta riconoscendo il diritto di dire NO, in una certa misura, anche ai 500 popoli indigeni del bacino amazzonico. È un obbligo morale. A fronte di questo risultato, fermare la deforestazione è urgente. Più di 8 milioni di km² del bacino amazzonico sono territori indigeni.

 

 

Approfondimenti:

Articolo d'opinione del Dr. Mario Melo su "Piano V", che descrive la sentenza come "importante, complessa e stimolante per il dibattito".