Yasunì e il risveglio dal sogno di “lascire il petrolio sottoterra”

1 set 2013

Il Parco dello Yasuní nell’amazzonia ecuatoriana è uno dei luoghi più biodiversi del mondo. Il presidente ecuatoriano Rafael Correa ha appena decretato l’estrazione petrolifera nella sua zona più remota. La dura realtà è che ha dato un contributo in più alla distruzione dell’amazzonia, processo già avviato su molti fronti.

L’Iniziativa Yasuní ormai cestinata

Nel 2008 il presidente ecuatoriano Rafael Correa ha esposto al mondo durante un’assemblea dell’ONU la proposta di lasciare il petrolio del Bloque ITT sotto terra per evitare sia la distruzione di questa parte della foresta che l’inquinamento e l’emissione di 407 milioni di tonnellate di CO2 nell’atmosfera.

Dal 2010, la produzione di petrolio del paese è di 500.000 barili giornalieri. Dal momento che il petrolio è la seconda fonte di ricchezza dello stato, l’Ecuador ha chiesto al mondo, in cambio di lasciare il petrolio sotto terra e mantenere “intatta” quest’area, un risarcimento a compensazione di 3.600 milioni di dollari che qualsiasi governo, istituzione o persona poteva aiutare a sommare. Per arrivare a ciò si dava un periodo di tempo di 12 anni. Questo denaro avrebbe compensato lo stato ecuatoriano per la perdita data dal mancato sfruttamento petrolifero giacente in una porzione del Paco Nazionale Yasunì – un 10% della superficie totale del parco.

L’iniziativa Yasuní fu vista come unica al mondo, visionaria, innovatrice, all’avanguardia. L’iniziativa è comunque parziale, in quanto gli ulteriori due lotti all’interno del Parco Nazionale sono giá utilizzati per l’estrazione petrolifera. Di fatto gli ambientalisti ecuatoriani hanno deninciato costantemente il fatto che “tutto lo Yasunì è distrutto e l’ITT è solo una parte”.

Nonostante tutto, il presidente Correa in questi giorni ha dichiarato che “il mondo non ce l’ha fatta”, argomentazione abilmente utilizzata per dare inizio alla distruzione definitiva del poco che resta dello Yasunì ancora intatto. La Costituzione proibisce l’estrazione del petrolio nelle aree protette, però – come accade in politica – nei casi di “intersse nazionale” il presidente può dare l’autorizzazione. Nell’Assemblea Nazionale, inoltre (ovvero il parlamento ecuatoriano), può contare con la maggioranza. Così, senza colpo ferire, il presidente Correa può oltrepassare la fragile linea di confine che separa lo Yasunì dalla sua distruzione totale.

Sebbene Correa abbia girato il mondo pubblicizzando la sua predisposizione ecologica e abbia usato il nome dello Yasuní fino alla nausea – anche se l’iniziativa si limitava a una piccola porzione del parco, il 10% - chi lo ha osservato da vicino afferma che l’iniziativa al presidente non è mai piaciuta veramente. In origine nacque come una proposta totalmente ecologista e solo successivamente venne adottata dal governo di Correa durante il suo primo mandato presidenziale.

In realtà, non è un segreto che i preparativi per dare inizio all’estrazione petrolifera risalgono ad alcuni mesi orsono.

Chiedere denaro a milioni per non distruggere lo Yasuní, per preservare la sua ricchezza, e ora dire che è possibile sfruttarlo senza danneggiarlo è quantomeno contraddittorio oltre che sfacciato a livelli inusitati.

Da un lato, l’estrazione petrolifera nella foresta è qualcosa di enormemente distruttivo e pericoloso sia per la natura che per le comunità umane che vivono in quest’area. Dalll’altro non fa molto onore al presidente dare la colpa della distruzione ad altri paesi. Che gli altri paesi distruggano a casa loro e che abbiano fondato la loro crescita e ricchezza su buona parte della distruzione della natura – come ripete il presidente ecuatoriano – e sullo sfruttamento di altri paesi, non significa che questo modello sia esportabile.

Se Correa volesse proteggere quest’area dovrebbe mostrare un impegno indefesso in tal senso. Però anzichè impegnarsi per un altro modello di sviluppo, il suo governo si concentra sualla nazionalizzazione delle risorse naturali e sullo sfruttamento, secondo la stessa logica. Nonostante la sua posizione diachiaratamente progressista e di sinistra, la realtà è che il modello di sviluppo economico per il quale si è impegnato il governo del presidente Correa è scandalosamente corrispondente in alcuni aspetti a quello della politica neoliberista. Anche se per finanziare programmi e sussidi sociali, il governo ha investito fortemente nell’estrattivismo non solo petrolifero, ma anche minerario, così come nell’espansione di altre attività agroindustriali. L’unica differenza è che prevede che gli introiti ritornino allo Stato anziché alle multinazionali. Però lo stato ecuatoriano non dispone delle stesse infrastrutture delle multinazionali necessarie per svolgere queste operazioni e attività senza dover ricorrere ad imprese private, spesso straniere. Un situazione difficile e cotroversa.

L’opinione pubblica viene messa a tacere continuamente, cosí come i mezzi di comunicazione, la protesta sociale viene criminalizzata sempre più spesso. Oltre 200 lider sociali, contadini e indigeni sono stati travolti da processi giudiziali per aver alzato la voce contro questo modello economico e politico. Con atteggiamento prepotente e spocchioso, che affascina e indigna i più, il presidente ripete alla nausea le stesse argomentazioni. Che lui è il più ecologista e che tutti gli altri sono “ecologisti inutili”. Il presidente taccia di fondamentalismo coloro i quali si preoccupano per la natura e la difendono nel suo paese e all’estero. Dice che conta sulla “costituzione più verde della storia della natura, che gli da diritti sulla natura” . [1]

Aggiunge che vuole ottenere “la rete elettrica più efficiente e pulita del pianeta” e che sta lavorando per “una energia rinnovabile e pulita tanto che milioni di tonnellate di CO2 non si disperderanno nell’atmosfera”. Però l’estrazione del petrolio nella foresta, greggio pesante e inquinante nel cuore dell’Amazzonia, è una realtà in Ecuador che si è convertita in un incubo zampillante di petrolio a fiotti. Alla fine la nuova decisione del presidente ci risveglia dall’unico sogno che ci era rimasto.

Per questo, con urgenza chiederei al presidente Correa che:

- Lasci il petrolio sotto terra.

- Chiuda definitivamente l’attuale Gara d’Appalto per le concessioni petrolifere.

- Rispetti la volontà e i diritti della popolazione indigena e locale.

- Rispetti i diritti della natura previsti dalla Costituzione ecuatoriana.

 

Le cifre

 

- 3.600 milioni di US$ pensaba di raccogliere (la metà del valore degli igressi che non sarebbero arrivati allo stato)

-  336,6 milioni realizzati tra denaro impegnato e raccolto[2]

-  Nel Bloque ITT si stima di poter estrarre greggio per arrivare a realizzare tra gli 846 e y 920 milioni di barili, il 20% approssimativamente dei depositi di petrolio del paese e un equivalente della quantità di petrolio che si estrae nel mondo in soli 9 giorni.

Note

[1] https://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=kPpN6NONLbM#at=628

[2] http://www.explored.com.ec/noticias-ecuador/presidente-correa-anuncio-la-explotacion-del-yasuni-itt-588433.html

 

Ulteriori informazioni in Ecuador immediato